Sul diritto di recesso dal contratto di appalto esercitato dalla stazione appaltante in caso di emissione di informativa antimafia a carico dell’appaltatore

La terza sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata sulle modalità e sui termini del diritto di recesso da un contratto di appalto esercitato da una stazione appaltante, nel caso in cui è stata emessa un’informativa antimafia a carico dell’appaltatore.

In via generale e preliminare, va considerato che per potersi procedere al vaglio del diritto di recesso è necessario verificare,a priori, la legittimità dell’informativa antimafia.

Muovendo le mosse dall’appena citato principio generale, una volta appurata la legittimità dell’informativa, è ragionevole proseguire con l’analisi circa le modalità e i termini del diritto esercitato dalla stazione appaltante.

L’art. 92, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011 attribuisce alla stazione appaltante, proprio nei casi di emissione dell’informativa, il potere di recedere anche nella fase esecutiva del contratto, alla concessione dei lavori o all’autorizzazione del subcontratto: va da se che si può trattare anche di un momento successivo alla fase sostanzialmente “selettiva” del miglior contraente.

Pur essendo un istituto privatistico, il diritto di recesso assume nel caso di specie un taglio di natura pubblicistica proprio per il fine che intende perseguire, cioè quello che mira a dirimere quei rapporti contrattuali tra soggetti e imprese con sospetti legami con la criminalità organizzata. Da questo assunto, visto l’interesse pubblicistico, deriva che la giurisdizione spetta al giudice amministrativo.

Circa la natura pubblicistica e speciale di tale potere spettante alla stazione appaltante, le Sezioni Unite della Cassazione (Cass., Sez. Un., 29 agosto 2008, ord. n. 21928; Cass., Sez. Un., 18 novembre 2016, ord. n. 23468) hanno costantemente riconosciuto, nella loro giurisprudenza, che la deliberazione di recedere dal contratto di appalto, «consequenziale all’informativa prefettizia di infiltrazioni mafiose nell’impresa appaltatrice, resa ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252» e ora dall’art. 92, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011,è espressione di un potere di valutazione di natura pubblicistica, diretto a soddisfare «l’esigenza di evitare la costituzione o il mantenimento di rapporti contrattuali, fra i soggetti indicati nell’art. 1 del medesimo d.P.R.» e le imprese, nei cui confronti emergano sospetti di legami con la criminalità organizzata.

Ed ancora, «conseguentemente, trattandosi di atto estraneo alla sfera del diritto privato, in quanto espressione di un potere autoritativo di valutazione dei requisiti soggettivi del contraente, il cui esercizio è consentito anche nella fase di esecuzione del contratto ai sensi dell’art. 11, comma 2, citato D.P.R., la relativa controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo» (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2016, n. 23468).

L’art. 37, comma 19, del d. lgs. n. 163 del 2006 e dall’art. 95, comma 1, del d. lgs. n. 159 del 2011 dettano regole precise circa i termini, che decorrono dalla recezione dell’informativa, entro i quali deve essere indicato il soggetto incaricato di ultimare l’esecuzione in atto. L’art. 95, comma 1, ult. periodo, del d. lgs. n. 159 del 2011 prevede che «la sostituzione può essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione delle informazioni del prefetto qualora esse pervengano successivamente alla stipulazione del contratto».

In conclusione, l’impossibilità di indicare un’impresa sostituta, a fronte dell’inopinato e immediato recesso della stazione appaltante senza il rispetto dei 30 giorni, impedisce all’appaltatore di esercitare la facoltà di sostituzione riconosciutagli dall’art. 95, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 159 del 2011, con conseguente illegittimità del recesso stesso.

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