Le Sezioni Unite chiariscono che è possibile utilizzare sia il ricorso che l’atto di citazione per appellare la sentenza reiettiva di reclamo, ma solo se…

La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, si è pronunciata in seno alla precisa identificazione dell’atto – citazione o ricorso – per promuovere appello avverso la sentenza reiettiva di reclamo proposto contro declaratoria di estinzione del processo di cognizione pronunziata dal giudice istruttore, con riguardo anche alla conseguente scelta sull’utilizzo del rito, ordinario ovvero camerale.

In particolare, occorre far riferimento sia 308 cpc rubricato “comunicazione e impugnazione dell’ordinanza” che all’art. 130 disp. att. cpc. Il primo prevede al primo comma che “l’ordinanza che dichiara l’estinzione deve essere comunicata dal cancelliere fuori dall’udienza” e al secondo comma che “il collegio provvede in camera di consiglio con sentenza, se respinge il reclamo, e con ordinanza non impugnabile se l’accoglie”. La seconda disposizione normativa prevede che il giudice può dare la possibilità di presentare memorie entro i termini stabiliti e successivamente decide in camera di consiglio.

Da un’interpretazione letterale della seconda disposizione, è pacifico che il rito camerale si applica all’intero procedimento di appello avverso la sentenza reiettiva di reclamo contro declaratoria di estinzione del processo di cognizione pronunciata dal giudice istruttore, con relativo atto introduttivo.

La tesi secondo la quale il rito camerale troverebbe maggiore consenso per essere applicato all’intero procedimento dell’appello avverso la sentenza reiettiva di reclamo trova conforto nella disposizione sancita dall’art. 4 della legge 898/1970, come modificato dall’art.8 l. 74/1987 in cui si afferma che l’impugnazione è soggetta al rito camerale non soltanto nella fase decisoria ma nell’intero procedimento e quindi con la conseguenza logica che l’atto introduttivo deve avere la forma del ricorso che deve essere depositato presso la cancelleria del giudice competente rispettando i termini perentori sanciti dagli artt. 325 e 327 cpc.

Resta da chiarire che sorte ha l’impugnazione se erroneamente l’atto di impulso utilizzato è un atto di citazione piuttosto che un ricorso. Attraverso un’accurata analisi e procedendo per analogia tra la suddetta questione ed altre, come l’opposizione al decreto ingiuntivo, è pacifico che l’atto di impulso, se non corretto, produce egualmente gli effetti se è  dotato di tutti i requisiti indispensabili al raggiungimento dello scopo per cui viene in vita e siano ottemperate le prescrizioni di notifica alla controparte e di deposito presso la cancelleria del giudice competente nei termini previsti.

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