Sui profili di incostituzionalità del subappalto qualificatorio in materia di beni culturali

Il Tar Molise, con ordinanza n. 278/2020, rimette la questione di illegittimità costituzionale innanzi la Corte Costituzionale, al fine di accertare se e in quale misura sia legittimo consentire il subappalto cd. necessario o qualificatorio, stante che l’art. 146, comma 3, vieta l’avvalimento in materia di beni culturali.

L’incostituzionalità della norma, a detta del Collegio, deriva dalla ratio del divieto posto dal richiamato art. 146, comma 3, del Codice dei contratti pubblici, rinvenendola nell’esigenza di assicurare che l’esecuzione dei lavori nel delicato settore dei beni culturali – protetti in modo particolare dall’art. 9 Cost. – venga affidata a soggetti muniti delle relative qualificazioni specialistiche.

Proprio tale esigenza spiega la volontà del legislatore di escludere in assoluto la facoltà di avvalimento in subiecta materia, ponendo così’ una deroga netta rispetto all’applicazione generalizzata dell’istituto quale richiesta dai principi euro-unitari.

A ben vedere, però, l’avvalimento e il subappalto c.d. “necessario” hanno caratteristiche molto similari tant’è che secondo il Collegio si rinviene un’illegittimità costituzionale del codice degli appalti nella misura in cui il primo è vietato, mentre il secondo è lecito.

L’avvalimento, infatti, si colloca nella fase dell’evidenza pubblica, consente al concorrente di ottenere i requisiti di partecipazione alla gara e coinvolge la responsabilità solidale delle imprese ausiliata e ausiliaria nei confronti della stazione appaltante per la corretta esecuzione della commessa.

Al contrario, il subappalto si colloca nella fase di esecuzione, non è generalmente funzionale al soddisfacimento dei requisiti di partecipazione e non implica alcuna responsabilità diretta del subappaltatore nei confronti della stazione appaltante.

Tali differenze, tuttavia, si assottigliano nell’ipotesi particolare del subappalto c.d. “necessario”, figura eccentrica rispetto allo schema tradizionale del subappalto, la quale ricorre (pur in assenza di alcuna specifica disciplina normativa) allorché un concorrente supplisca ai requisiti di qualificazione, di cui sia carente, subappaltando parte dei lavori ad altra impresa che invece li possegga: in tal caso, il subappalto opera non solo nella fase di esecuzione del contratto, ma anche nella fase iniziale, di ammissione alla procedura e di qualificazione del concorrente.

Esistono invece, secondo il Giudice rimettente, argomenti che inducono a ritenere irragionevole la diversa considerazione dei due istituti nella materia dei lavori su beni culturali: in particolare, l’avvalimento è corredato di maggior garanzie anche rispetto alla fase esecutiva, non solo per la richiamata corresponsabilità dell’ausiliaria, ma anche per la sua conoscibilità sin dalla fase della gara e per gli stringenti requisiti che la giurisprudenza amministrativa richiede per la validità del contratto di avvalimento, specie quando si tratti di avvalimento tecnico-operativo.

Tali profili di irragionevolezza, poi, sono ancora più marcati ove il raffronto sia operato tra avvalimento e subappalto “qualificatorio” che, oltre a presentare significative analogie con l’avvalimento, presenta criticità ancora maggiori rispetto al subappalto “tradizionale”, poiché il bisogno del concorrente di acquisire i requisiti di qualificazione può determinare il subappalto anche dell’intera prestazione, così snaturando il senso dell’affidamento al contraente principale (cfr. atto di segnalazione ANAC n. 8 del 13 novembre 2019).

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