“Sull’accertamento della regolarità contributiva”: la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Il Consiglio di Stato, ha sollevato dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea una questione pregiudiziale, chiedendo se la normativa italiana, relativamente al caso di un DURC portante un’irregolarità non definitiva e sanata prima della verifica in gara, contrasti con l’art. 45 della direttiva 18/2004, nonché con l’art. 57, comma 2 della nuova direttiva 24/2014. Ne deriva che, l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE è compatibile con una normativa nazionale, come quella italiana, che obbliga l’amministrazione aggiudicatrice a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussista alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, anche se non sussisteva più alla data dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice.

In particolare, il Collegio nell’ordinanza n. 1236/15 ha posto all’attenzione della Corte di Lussemburgo una serie di questioni che potrebbero porsi in contrasto con il diritto dell’Unione. In particolare, la questione sottoposta concerne l’ammissione di un’impresa in ritardo nel pagamento di un pur modesto debito contributivo al tempo della scadenza del termine per la presentazione della domanda sia automaticamente ed inderogabilmente esclusa dalla procedura, anche se l’irregolarità è stata subito dopo sanata ed è quindi insussistente al momento dell’aggiudicazione, o è comunque tale da non configurare profili dolosi o colposi che possano considerarsi indice di inaffidabilità o immoralità. Secondo i giudici amministrativi, a causa delle siffatte irregolarità l’effetto che ne deriva è che, la stazione appaltante finisce per privarsi della migliore offerta sul piano del prezzo o del rapporto qualità prezzo, ed è vincolata ad aggiudicare l’appalto all’impresa che segue in graduatoria.

Orbene, in relazione all’art. 45 della direttiva 18/2004, il Consiglio di Stato ha messo in evidenza alcune problematiche afferenti la normativa italiana dal punto di vista della tempistica. Infatti, in primo luogo, la normativa italiana prevede l’acquisizione “d’ufficio” del DURC alla data di partecipazione alle gare, mentre l’art. 45 Dir. 18/2004/CE dispone l’allegazione del DURC da parte del concorrente all’atto dell’aggiudicazione. Pertanto, l’aver previsto un sistema che richiede sempre il controllo d’ufficio e storico della regolarità contributiva, senza possibilità di regolarizzazione in corso di gara, contrasta con la ratio ed il tenore dell’art. 45. Inoltre, vi è la possibilità che la normativa italiana violi il principio di concorrenza, poiché mentre l’art. 45 direttiva 18/2004 richiede la “regolarità attuale”, nel senso che essa deve sussistere al momento dell’esclusione, l’ordinamento italiano dà rilievo “all’inadempimento storico”  riducendo in tal modo la possibilità di utile partecipazione, e con esse le potenzialità del principio di concorrenza.

Secondo i giudici di Palazzo Spada, inoltre l’ordinamento italiano risulterebbe in contrasto anche con l’art. 57, comma 2, della Direttiva 24/2014, recante nuove norme sulle procedure per gli appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici, secondo cui “un operatore economico che si trovi in una delle situazioni […] che determinerebbero l’esclusione, può fornire prove del fatto che le misure da lui adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo d’esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non è escluso dalla procedura d’appalto”, il versamento degli oneri previdenziali precedentemente omessi, peraltro senza alcuna preventiva diffida da parte degli Enti preposti, deve quindi ritenersi certamente una prova sufficiente a dimostrazione dell’affidabilità del concorrente, mentre tale ipotesi non è prevista nel nostro ordinamento.

Infine, secondo i giudici amministrativi la normativa italiana violerebbe il principio di concorrenza sotto un altro profilo. Infatti, il complesso delle norme italiane consente alla stazione appaltante di interrogare d’ufficio gli istituti previdenziali in relazione alla regolarità contributiva alla data di partecipazione, ed ove dalla certificazione segnali l’esistenza di un debito contributivo superiore ad €. 100,00, impone l’esclusione, senza possibilità alcuna di sanatoria. Mentre per le imprese  di altri Stati dell’Unione , la stazione appaltante deve, invece, ai sensi del comma 4 e 5 dell’art. 38 del D.lgs. 163/2006, chiedere se del caso ai candidati o ai concorrenti di fornire i necessari documenti probatori. Se nessun documento o certificato è rilasciato da altro Stato dell’Unione Europea costituisce prova sufficiente una dichiarazione giurata. Nei fatti, la circostanza che trova più frequente applicazione è il comma 5 dell’art. 38, con conseguente sufficienza di una dichiarazione giurata dell’imprenditore di altro Stato membro che è così favorito, rispetto all’imprenditore italiano, in una logica di “discriminazione alla rovescia”.

La Nona Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione  ha riconosciuto la conformità alla normativa europea della legislazione nazionale. In particolare la Corte di Giustizia ha evidenziato che “l’articolo 45 della direttiva 2004/18 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004 deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che obbliga l’amministrazione aggiudicatrice a considerare quale motivo di esclusione una violazione in materia di versamento di contributi previdenziali ed assistenziali risultante da un certificato richiesto d’ufficio dall’amministrazione aggiudicatrice e rilasciato dagli istituti previdenziali, qualora tale violazione sussistesse alla data della partecipazione ad una gara d’appalto, anche se non sussisteva più alla data dell’aggiudicazione o della verifica d’ufficio da parte dell’amministrazione aggiudicatrice”, ed è altresì conforme alla legislazione Europea una normativa nazionale che esclude ogni margine di discrezionalità delle amministrazioni giudicatrici a tale riguardo.

La pronuncia della Corte di Giustizia si riferisce ad una controversia sorta durante la vigenza del d.lgs. 163/2016 e conseguentemente fa riferimento alla Direttiva 2004/18/CE, oggi abrogata dalla più recente Direttiva 2014/24UE, che è stata recepita dal d.lgs. 50/2016. Tuttavia le statuizioni in essa contenute risultano di indubbia rilevanza anche nell’interpretazione e nell’applicazione delle vigenti disposizioni, dato che il d.lgs. 50/2016 non ha apportato alcuna novità di rilievo sulla questione.

Corte giust. UE, 10 novembre 2016, C-199_ 15.

 

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