Cons. Stato: “i requisiti generali e speciali richiesti devono essere posseduti per tutta la durata della gara”. Forniti, inoltre, importanti principi sulla quantificazione del danno

La Sezione V del Consiglio di Stato, con sentenza 4558/2016, ribadisce il principio sancito dall’Adunanza Plenaria n. 8 del 2015, secondo cui “nelle gare di appalto per l’aggiudicazione di contratti pubblici i requisiti generali e speciali devono essere posseduti dai candidati non solo alla data di scadenza del termine per la presentazione della richiesta di partecipazione di affidamento, ma anche per tutta la durata della procedura stessa fino all’aggiudicazione definitiva ed alla stipula del contratto, nonché per tutto il periodo dell’esecuzione dello stesso, senza soluzione di continuità”.

In applicazione del suddetto principio, il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza appellata, ha dichiarato l’illegittimità dell’aggiudicazione definitiva disposta a favore di un’impresa ausiliaria del RTI.

In secondo luogo, nella sentenza in esame, è di particolare interesse l’aspetto riguardante la specificazione dei criteri per la quantificazione del danno e del relativo risarcimento. Nel caso di specie, la società Pisamover indiceva una procedura ristretta per l’affidamento secondo il criterio del massimo ribasso dei lavori di costruzione di un parcheggio. A seguito dell’aggiudicazione definitiva a favore della società Impresim in raggruppamento temporaneo di impresa, la società seconda classificata impugnava l’aggiudicazione sostenendo l’illegittimità dell’ammissione del raggruppamento aggiudicatario in quanto, nel corso della gara, era stata notificata all’Impresim una cartella esattoriale non impugnata ed oggetto di un successivo accordo di rateizzazione, su istanza della medesima società.

Ritenuto infondato il ricorso dal giudice di primo grado, il ricorrente proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato che accoglieva il ricorso ritenendo fondata la censura relativa all’irregolarità fiscale della posizione della società ausiliaria del “raggruppamento temporaneo di imprese” aggiudicatario.

Per i giudici di Palazzo Spada, prevale la considerazione che l’irregolarità fiscale sussisteva al momento della domanda e che poi in corso di gara, prima dell’aggiudicazione definitiva, è intervenuta una cartella esattoriale che non è stata impugnata e che sempre in corso di gara, dopo la formulazione della graduatoria e prima della aggiudicazione definitiva, è stata formalizzata l’intesa per la rateizzazione. Questa intesa non può essere considerata una regolarizzazione ex post, da qualificarsi come effetto automatico discendente dalla mera richiesta dell’interessato: è piuttosto una concessione ad opera dell’esattore riguardo l’adempimento di un debito ormai scaduto e non contestato nei termini di legge. Sicchè è il rilievo dell’avvenuto venir meno, medio tempore, del requisito.

Il Collegio, inoltre, precisando che l’appellante non avrebbe potuto beneficiare del risarcimento in forma specifica, ovvero il subentro nel contratto, vista l’ormai avvenuta esecuzione dell’opera, si sofferma sull’analisi dei parametri in base ai quali liquidare il risarcimento del danno in forma generica. In primo luogo, si esclude la liquidazione a favore dell’appellante del danno emergente pari alle spese per la partecipazione alla gara; la partecipazione, chiarisce la Sezione, non è un effetto lesivo ma il presupposto di base nel cui contesto si è poi manifestato il fatto lesivo. Ne consegue che il danno emergente non è risarcibile in favore dell’impresa che lamenti la mancata aggiudicazione dell’appalto. I costi di partecipazione si connotano come danno emergente solo se l’impresa lamenti esclusivamente profili di illegittimità procedimentale, poiché in tal caso viene in considerazione soltanto la pretesa risarcitoria del contraente che si duole del fatto di essere stato coinvolto in trattative inutili. In secondo luogo, il Giudice riconosce a favore dell’appellante la liquidazione del lucro cessante, cioè il mancato guadagno per ingiusta collocazione in graduatoria, ritenendo che lo stesso vada commisurato sull’importo offerto dalla società appellante e non sull’importo a base d’asta che produrrebbe un indebito arricchimento a favore della società appellante. Il lucro cessante viene, dunque, calcolato nel 10% dell’importo offerto dalla società illegittimamente esclusa. Sulla somma così determinata, da intendersi quale debito di valore, dovrà essere computata la rivalutazione monetaria. Sulla somma rivalutata saranno dovuti gli interessi nella misura legale secondo il tasso vigente all’epoca della stipulazione del contratto a decorrere dalla data della stipulazione e fino a quella del deposito della decisione. Su tali somme decorrono, altresì gli interessi legali dalla data di deposito della decisione sino all’effettivo soddisfo.

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