La Corte di Appello di Roma, con sentenza n. 1656/2020, dell’11.09.2020 dà importanti chiavi di lettura per ciò che concerne l’interpretazione delle norme che regolano l’utilizzo dei contratti a termine del personale scolastico alla luce della direttiva 70/1999.
La Corte, infatti, aderendo all’orientamento comunitario dominante, ritiene che i contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4 della l.124/99 siano illegittimi in quanto contrastanti con la direttiva comunitaria n. 70/1999.
Il collegio, rifacendosi alla giurisprudenza comunitaria, esplicita la legittimità delle supplenze temporanee e quelle annuali su organico di fatto.
In particolare, infatti, le prime sono dettate da ragioni oggettive di carattere, per l’appunto, temporaneo e contingente, quale e’ l’esigenza di garantire la continuita’ didattica, coprendo le assenze del personale dovute a ragioni non prevedibili ex ante, quali assenze per malattia, aspettative, congedi vari, richiesti nel corso dell’anno scolastico.
Per le seconde, invece, si tratta di cattedre “non vacanti” e, quindi, solo momentaneamente disponibili: sono quindi incarichi che non presuppongono alcuna scopertura della pianta organica del singolo istituto scolastico e che si rendono necessari in considerazione dell’estrema variabilita’ ed imprevedibilita’ dei dati che condizionano l’istituzione e la permanenza delle cattedre.
Diverso è il caso dell’art. 4, comma 1, l.124/1999 che è illegittimo in quanto, attraverso il conferimento della supplenza annuale per la copertura di cattedre e posti di insegnamento, gia’ compresi nella pianta organica, ma vacanti perche’ privi di titolare, l’Amministrazione scolastica soddisfa un’esigenza che, sebbene oggettiva, non e’ connotata dal carattere della temporaneita’, atteso che gia’ la sola inclusione della cattedra del c.d. organico di diritto rende evidente la natura permanente dell’esigenza medesima.
Pertanto, considerato che la legge 124 del 1999 prevede e consente assunzioni a tempo determinato in assenza di ragioni obiettive, ne consegue che tale norma non e’ conforme alle previsioni della direttiva 1999/70/CE.
Inoltre, la Corte si sofferma sulla applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori di ruolo e precari.
La Corte di Giustizia ritiene che vi debbano essere ragioni oggettive tali da giustificare una diversita’ di trattamento tra assunti a termine e assunti di ruolo, nel senso che si deve trattare di “elementi precisi e concreti che possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato” (cfr.: Corte di Giustizia sentenza Del Cerro citata, punti da 49 a 58).
La “reale necessita’” di un trattamento differente tra lavoratori, cosi’ come descritta dalla Corte Europea, non puo’ certo identificarsi con l’essere un dipendente a tempo determinato, di ruolo o meno e assunto o meno con concorso, ne’ tali peculiarita’ del rapporto di impiego hanno alcuna correlazione logica con il negare la progressione retributiva in funzione dell’anzianita’ maturata.
Pertanto, a detta della Corte, in linea con l’orientamento giurisprudenziale dominante, la posizione del dipendente a tempo indeterminato e quella di chi ha lavorato con continuita’ nella medesima funzione in forza di una pluralita’ di rapporti a termine sono pertanto pienamente equiparabili: pertanto, anche al lavoratore precario vanno riconosciuti gli scatti di anzianità e le conseguenti maggiorazioni retributive tipiche del lavoratore di ruolo a tempo indeterminato.