La sentenza n. 4474 del 2015 del Consiglio di Stato dispone che in caso di violazione del principio di anonimato, non serve accertare che vi sia stata un’effettiva lesione del’imparzialità in sede di correzione poichè si ritiene che la condotta della pubblica amministrazione sia già offensiva. Il collegio,così come ritenuto dalla pronuncia dell’adunanza plenaria n. 26 /2013, ritiene infatti che il principio su esposto sia derivante dal principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost) e di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost) e che quindi la condotta dei soggetti risulta essere già implicitamente offensiva, a prescindere dall’attitudine a porre in pericolo o anche soltanto a minacciare il bene protetto.
Tutelare il principio dell’anonimato significa che l’elaborato non deve essere mai riconoscibile se non prima dell’assegnazione della posizione in graduatoria e comunque lo può essere solo dopo la sua valutazione; e la correzione “automatica”, volta a garantire una correzione assolutamente oggettiva finisce, al contrario, per favorire la possibile alterazione dell’elaborato , senza che si possa dimostrare che ciò’ sia effettivamente avvenuto. La presenza del codice alfanumerico in tutta la documentazione di concorso risulta così essere un vizio decisivo.
Ulteriori vizi, denotanti la violazione del principio di anonimato, risultano essere: l’ordine di compilare, prima dell’inizio della prova, la scheda anagrafica e collocarla in evidenza sul banco insieme con la carta di identità’ per tutta la durata della prova; la presenza del codice barre di identificazione unica impresso sul modulo risposte, sull’elenco delle domande e sul foglio anagrafica; l’obbligo per i candidati di tenere in vista la carta di identità, proprio al fine di voler sapere a quale nome abbinare il codice segreto presente in tutti i fogli a disposizione del candidato; e soprattutto l’ordine di ritirare i plichi previa verifica della concordanza dei codici nei vari fogli, cioè tra i dati contenuti nella scheda anagrafica e il documento di identità del candidato considerato che nessuno deve sapere a chi appartiene quel determinato codice segreto prima della correzione. Ministero e Cineca, organi chiamati a regolamentare nel migliore dei modi tali test selettivi, non hanno predisposto accorgimenti tali da consentire che la scheda anagrafica fosse messa in una busta comportando quindi una palese violazione dell’anonimato dato che i commissari hanno avuto la possibilità’ di associare ciascun candidato, sin dall’inizio della prova, ad uno specifico codice alfanumerico rimasto impresso e visibile nella busta contenente il foglio con la griglia delle risposte cioè’ la prova d’esame da correggere.
Il collegio, nel caso di specie, conclude che il comportamento tenuto dai Commissari e risultante dai verbali redatti delle operazioni compiute ha così messo a rischio ogni accorgimento predisposto a livello normativo generale e di settore per garantire l’anonimato nella fase di correzione, essendo stato consentito ai commissari di verificare la concordanza tra i dati contenuti nella scheda anagrafica e il documento di identità del candidato e di sapere quindi a chi apparteneva quel determinato codice prima della correzione. La violazione del principio dell’anonimato, per quanto su esposto, risulta palese.
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