Concorso in medicina invalido se i candidati sono anche solo astrattamente riconoscibili

La violazione della regola dell’anonimato nel corso di un procedimento concorsuale comporta de iure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto l’effettiva lesione dell’imparzialità in sede di correzione, è questo il principio di diritto sancito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 26/2013

La questione nasce da un ricorso presentato dinanzi al TAR Catania da parte di posto alcuni studenti i quali, dopo l’aver compilato  il test di medicina, risultavano inidonei all’immatricolazione. I ricorrenti, seppur classificatisi in una posizione largamente non utile, hanno voluto impugnare la graduatoria, eccependo la violazione del principio dell’anonimato ma vedendosi respingere il ricorso da parte dei giudici di primo grado.

L’adunanza plenaria, investita dal Consiglio di Stato secondo il quale “l’eventuale, astratta riconoscibilità dei candidati non dovrebbe costituire ex se causa di invalidazione della procedura concorsuale, allorché, come nella specie, non risulta in alcun modo dimostrato che tale evenienza abbia oggettivamente determinato condizioni di vantaggio per alcuni candidati, incidendo negativamente sui risultati della selezione effettuata”; ha distinto due specifiche situazioni.

Nell’ipotesi statisticamente più frequente si tratta di controversie innescate dalle esclusione da procedure concorsuali di candidati che abbiano apposto al proprio elaborato segni di riconoscimento. In questo caso, trattandosi di violazione addebitata al candidato, afferma costantemente la giurisprudenza che la regola dell’anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo e assoluto da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sussista un’astratta possibilità di riconoscimento. E’ necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il suo elaborato. ( ad es. VI Sez. n. 5220 del 2006).

Nel caso in cui la violazione deriva dalla Pubblica Amministrazione, invece, la giurisprudenza dominante rileva che basti in tal senso l’astratta possibilità che si produca la violazione e che non sia rilevante l’accertamento sul possibile percorso di accertamento degli elaborati (( cfr. VI Sez. n. 1928 del 2010). Lo stesso organo giudicante ritiene infatti che diversamente si produrrebbe un’ inversione dell’onere della prova con una sorta di probatio diabolica che contrasterebbe con l ’esigenza organizzativa e giuridica di assicurare senz’altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza costituzionale, sul pubblico concorso.” ( cfr. di recente VI Sez. n. 3747 del 2013).

Considerato, quindi,  che la pubblica amministrazione in ossequio ai principi di uguaglianza, nonché a quelli di buon andamento e imparzialità della stessa, deve garantire il criterio dell’anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso affinchè possa produrre le proprie valutazioni senza lasciarsi condizionare da alcun elemento esterno, garantendo così la par condicio tra i candidati. L’esigenza dell’anonimato, di derivazione quindi costituzionale, pone in essere quindi alla pubblica amministrazione di porre l’onere accurare minuziosamente il rispetto di tale criterio.

Ciò posto la suddetta adunanza rileva che si tratti di “illegittimità da pericolo astratto” che comporta la sanzione del viziato comportamento senza necessità di verificarne l’effettiva lesione dell’imparzialità.

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