Corte Costituzionale: dichiarata l’incostituzionalità della “spending review bis”

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 129 del 2016 ha dichiarato l’illegittimità dell’ art. 16, comma 6, del d.l. n. 95 del 2012, noto come “spending review bis”, approvato dal Governo Monti, il quale indica gli obiettivi di contenimento delle spese degli enti locali vincolando in maniera netta i Comuni e assurgendo a principio di coordinamento della finanza pubblica.
Nella pronuncia, la Consulta evidenzia che appare fuor di dubbio che le politiche statali di riduzione delle spese pubbliche possano incidere anche sull’autonomia finanziaria degli enti territoriali. Tuttavia, tale incidenza va mitigata attraverso il loro coinvolgimento nella fase di distribuzione del sacrificio e nella decisione sulle relative dimensioni quantitative, considerato, inoltre, che può essere tale da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni degli enti in questione (sentenze n. 10 del 2016, n. 188 del 2015 e n. 241 del 2012).
In particolare, viene altresì rilevato che, sebbene lo Stato può agire unilateralmente per evitare che per inerzia degli enti locali non venga rispettato l’obiettivo di contenimento della spesa pubblica; tale condizione non può giustificare l’esclusione sin dall’inizio di ogni forma di coinvolgimento degli enti interessati, soprattutto se il criterio posto alla base del riparto dei sacrifici presenta elementi di dubbia razionalità, come è quello delle spese sostenute per i consumi intermedi. Difatti, il sistema dei tagli lineari «si presta a far gravare i sacrifici economici in misura maggiore sulle amministrazioni che erogano più servizi, a prescindere dalla loro virtuosità nell’impiego delle risorse finanziarie».
La Consulta, pertanto, ritiene che il ricorso al criterio delle spese sostenute per i consumi intermedi come parametro per la quantificazione delle riduzioni delle risorse da imputare a ciascun Comune sia da ritenere valido solo se affiancato a procedure idonee a favorire la collaborazione con gli enti coinvolti e a correggerne eventuali effetti irragionevoli. Nello specifico, quindi, non è dunque illegittimo in sé e per sé: può essere ritenuto legittimo solo se si tratti di un parametro utilizzato in via sussidiaria, ovvero, solo se i tentativi di coinvolgimento degli enti interessati siano risultati infruttuosi.
Infine, la Corte ritiene indispensabile sottolineare che la disposizione impugnata non determina alcun termine per l’adozione del decreto ministeriale che specifica il riparto delle risorse e le relative decurtazioni. Ciò è rilevante, poiché, un intervento di riduzione dei trasferimenti che avvenisse a uno stadio avanzato dell’esercizio finanziario potrebbe compromettere la possibilità di elaborare correttamente il bilancio di previsione, attività che richiede la previa e tempestiva conoscenza delle entrate effettivamente a disposizione, risultando quindi lesivo dell’autonomia finanziaria degli enti in questione.

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